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Immagine del redattoreYana K Duskova Madonno

Mission: cosa sei venuto a fare in questa vita? E se poi non ti piace? Che fare?


Si fa presto a dire “mission” ma cos’è esattamente?


Con il termine Mission, non si intende il celebre film degli anni  ’80 che più chi e chi meno si è dovuto sorbire durante le ore di religione ma, secondo la cultura dei nuovi anni illuminati alla ricerca di qualcosa in noi di più profondo, si parla, a soldoni, di quello che la nostra anima è venuta a fare in questa vita.


Come funziona? Regole del gioco.

Immagina che il tuo corpo sia giusto un mezzo fisico che una parte più eterea ed evoluta di te, che per comodità chiameremo anima, ha scelto per attraversare questa dimensione.

Insomma, un pilota che sceglie la sua auto.


E’ come se l’anima vivesse una sorta di gioco a premi, a step, e ad ogni missione superata con successo, acquisisse il diritto a passare allo schema di gioco successivo.


Ma gli schemi di gioco non li attraversa senza aiuti: ad ogni nuovo livello l’anima ha diritto di portare con sé una memoria di talenti e capacità appresi dalle vite precedenti.


Sceglierà la corazza o corpo come strumento per vivere al meglio lo schema di gioco che ha scelto, perché essendo questa una dimensione terrena e fisica (il nostro corpo fisico ha bisogno di mangiare, dormire, respirare ecc per poter sopravvivere) e, non avendo la nostra anima la fisicità  necessaria, non potrebbe “fare cose” come interagire con ciò che materiale esiste in questa dimensione.


Quindi l’anima sceglie un corpo fisico per vivere e attraversare questa dimensione.


Un corpo che alla fine del viaggio lascerà, per passare ad un altro schema di gioco.


Ogni schema di gioco ci permette di apprendere nuovi talenti, la cui memoria porteremo con noi negli schemi successivi sotto forma di “predisposizioni” e “capacità innate”.

Tutti questi talenti acquisiti diventeranno quindi strumenti facilitanti per i livelli successivi.

Così si potrebbe paragonare la mission ad uno scopo, qualcosa che si è venuti a fare, imparare, lasciare come segno, ecc  in questa vita, di cui non abbiamo la più pallida idea (perché il gioco sta nell’andare alla ricerca) e che se fossimo in grado di ascoltare i nostri talenti e le cose che ci vengono facili e bene fare,  questi ci porterebbero dritti-dritti alla meta.


L’esperienza maturata nel campo con gli anni di consulenza mi ha portata a individuare con certezza che:

-          Non abbiamo una sola mission nella vita;

-          Non sempre siamo in grado di accogliere e gioire per i nostri talenti e a lasciarci guidare da essi;

-          Quando scopriamo la nostra mission di solito: o ci delude, o non è abbastanza, o vorremmo qualcos’altro;

-          La mission non è qualcosa di statico o incastrato e facilmente definibile, ricordiamoci che l’anima non risponde per filo e per segno alle leggi della natura umana e fisica, è qualcosa di molto più dinamico che va al di là del semplice causa-effetto.

 

 

 

E se la Mission fosse il viaggio? Provando tutti i talenti?

Finalmente la più classica delle frasi dei baci perugina ha un senso: e se il senso della vita fosse nel viaggio? Se il senso risiedesse proprio nel vivere con facilità, serenità e gratitudine la manifestazione dei propri talenti?


Tra gli intoppi più grandi che trovo quando i clienti vengono in studio per sondare il proprio scopo di vita, paradossalmente è il fatto di accogliere che sono le cose facili e belle che fanno, ad avvicinarli alla loro mission.


Una cosa che ahimè non abbiamo ancora lasciato andare dalla storia, è l’idea che la vita in qualche modo debba essere sofferenza, e che le gioie vadano sofferte, che bisogna faticare, ecc.


Allora, parliamoci chiaro: la sofferenza può esistere, fa parte della vita, ma non sta scritto da nessuna parte che sia la chiave.

Se per qualche motivo poteva anche starci quando nei periodi bui del Medioevo, le guerre per il potere, la religione e la società avevano fatto un casino, oggi direi che possiamo cominciare a vedere le cose diversamente.


Perché se vivo nel Medioevo, non ho di che vivere, devo lavorare per soddisfare brame di ricchezza e potere altrui, o combattere guerre di cui fino a un attimo fa non sapevo dell’esistenza e, detto tra noi, neanche mi fregava; se ogni tre per due vedo morire persone care, ecco che forse l’idea religiosa di “patire qui per stare meglio poi” può avere parzialmente un senso, per quanto effetto placebo.


E’ il senso dei disperati, è il bisogno di credere che tutto quel dolore abbia un senso, per poter continuare a vivere… altrimenti, che ci rimango a fare qui? Meglio passare ad un altro schema di gioco.


Ricordiamoci sempre che quando non ho possibilità di soddisfare i miei bisogni basali di sopravvivenza (sicurezza, cibo, sonno, prole) di tutto il resto non me ne frega una beata cippa.


Questo lo si capisce bene nei detti “quando vuoi dominare una persona, mettila nella paura” o “il mio potere sta nella tua paura”, perché quando hai paura (la paura viscerale è quella delle carenze basilari indicate sopra) non senti il bisogno di evolvere o pensare in modo illuminato o far crescere il tuo spirito e la tua anima operando cambiamenti impattanti nella tua vita. Vuoi solo che a te e ai tuoi figli non manchi la pagnotta per sopravvivere a domani.


Maggiore è la carenza nei bisogni fisiologici, minore è il raggio di tiro a cui ti interessa arrivare.

Se mi manca il cibo o un tetto sulla testa, vivo alla giornata.


Ma andiamo avanti.


Dicevamo, che magari la vita non deve per forza passare per la sofferenza per avere un senso, ma il gioco sta nel dare un senso alla sofferenza, se questa si presenta, per trasformarla alchemicamente in una lezione appresa che diventa uno strumento evolutivo per la mia anima.


Cacchio, quando scrivo queste frasi, mi faccio quasi paura da sola.

Come capire quali sono i nostri talenti? (ovvero quelle capacità che mi porto dietro dalle vite precedenti come strumenti utili per scovare e vincere la quest di questo gioco?)


La nostra anima ha un solo metodo per segnalarci quando siamo sulla strada giusta: e sono il piacere e la gioia.

Se mangio una torta e questa mi piace, sarò spinta naturalmente a cercarne ancora. E di questo sono testimoni i miei fianchi pasciuti.


Se non mi piace, sorrido, ringrazio e cerco il primo vaso di fiori in cui sputarla educatamente e lontana da occhi indiscreti.


Lo stesso meccanismo lo usa la nostra anima, ogni volta che faccio qualcosa che mi piace, che mi da gioia, che mi viene facile io posso avere la certezza che questo è un mio talento evolutivo e che se ce l’ho è perché è certo che mi serve per compiere la mia mission.


E se scopro la mia mission e non mi piace?

Se in passato mi piaceva tantissimo aiutare le persone a scoprire di più sulla loro mission, la trovavo una cosa fighissima, con il tempo ho rimodulato il mio entusiasmo.


La mission di una persona a volte gliela vedi negli occhi, nei gesti che compie, nelle cose che fa con amore nella vita, per qualcuno è come una canzone in sottofondo che ti accompagna da sempre.

E’ un tratto naturale, una caratteristica.

Ed è possibile anche avere indicazioni più precise con la kinesiologia e-mozionale, individuando frasi, affermazioni che possano orientare o avere maggiore chiarezza rispetto al compito evolutivo scelto dalla nostra anima.


E allora, dove si è rimodulato il mio entusiasmo?

Quando la persona si incastra tra il proprio ego e quello che pensa sia accettabile e figo per la società.


In un mondo dove solo chi è il supereroe di qualcosa, dove tutto è improntato al paragone, dove il proprio valore ha bisogno di essere riconosciuto per garantirci un pezzetto di identità, è difficile riconoscere il valore e il bello delle proprie qualità, se queste non sono nella lista delle cose fighissime, quelle che io percepisco essere ricercate da chi mi sta intorno o valide agli occhi delle persone per cui vorrei contare qualcosa.


Così quando tu tutta bella felice, con il cuore colmo di gioia, ti accingi a scovare la frase inerente alla mission che la persona ti ha chiesto, la dici a voce alta e la senti risuonare anche nei suoi occhi, e la persona ti guarda con lo sguardo di chi ti comunica “Ma come, tutto qui? La mia mission è ‘solo”questo’? “, un po’ il sentimento ti scende… un po’ come la mutanda con l’elastico stanco…


Per sopravvivere abbiamo dovuto costruire una società prestante, ricca di stemmi, blasoni e medaglie. Per salvarti (o salvare) devi essere qualcuno. E per “essere qualcuno” devi essere visto, e per essere visto devi corrispondere ai canoni della società. (Chi ha letto o visto i miei articoli sul “devi” può solo immaginare che fatica mi è costato scrivere quest’ultima frase) .


Perciò se una volta che individuo il mio scopo nella vita questo si inciampa nei:

-Non è riconosciuto 

-Non è abbastanza 

-Non sei figo

-Cosa dice la gente 

-Come faccio a viverci

Capite anche voi che diventa difficile.


Il coraggio sta nel fare quello che ci piace e ci viene bene, anche se gli altri non lo capiscono.

 

Quando si va alla ricerca della nostra mission o di qualcuno che ce la confermi?

Si va alla ricerca della mission quando per lungo tempo non si è rimasti soddisfatti di quello che abbiamo fatto o costruito (magari perché non ci siamo mai chiesti se ci piacesse o meno o se facesse veramente parte delle cose che volevamo fare da bambini), e così, quando una serie di cose che abbiamo fatto (e magari pure bene) si arena, ci sentiamo insoddisfatti. E cerchiamo altro.

Magari abbiamo tutto quello che la società e la famiglia richiede: mariti, mogli, figli, lavoro, casa, famiglia, soldi, successo, ma ci sentiamo non al 100%.


E poi un giorno, leggiamo un articolo o vediamo un video che parla di mission e pensiamo: “ecco cosa mi manca! Scoprire cosa sono venuto a fare” e finalmente un pezzo di strada sembra illuminarsi nuovamente davanti a noi.


Ora, per quanto importante, questo concetto è stato un po' mitizzato, esattamente come nel Medioevo della disperazione ci si è agganciati a un discorso di qualcosa di meglio dopo la vita.


 Nel tentativo di placare quel senso di insoddisfazione, allora punto tutto sulla ricerca del mio scopo da compiere così ho qualcosa con cui dare un senso e non sentire questo vuoto.

Ed ecco la canzone che si ripete: cerco qualcuno che mi dica che la mia anima ha una mission (qualcuno che mi suggerisca un senso dal momento che io non sono in grado di vederlo o accoglierlo) e nel frattempo vengo scema a cercarla, perché ego, mente e società diranno la loro mettendola in dubbio. Ma intanto ho qualcosa da fare.


Cerchiamo certezze nel nostro futuro, chiediamo segni o cosa dobbiamo fare (per non fare scelte sbagliate ecc ...) con il rischio a portata di mano di essere solo alla ricerca di qualcuno che decida o scelga per noi.


Ma in fondo, quanti di noi sono disposti o in grado di seguire con equilibrio e centratura eventuali messaggi che ci indirizzano?

 

 

E se non ci fosse una sola Mission? Se avessimo più possibilità?

Se nella vita avessimo tante piccole mission?


Aiutare alcune persone nel loro piccolo a sentirsi sostenute in quello che fanno, anche se non sono il presidente degli States?


Un solo sorriso o una sola vita sostenuta valgono l’aiuto di tutte le altre.


Portare un ricordo con una canzone suonata all’angolo di una strada, piantare un fiore che cambi uno scorcio, portare messaggi, lasciare un segno che a noi sembra piccolo ma che può cambiare una giornata e a catena altre vite?


Se durante la vita avessimo tante mission da fare?

Se ogni nostro talento fosse uno strumento per raggiungere e sentire una missione?

Se non fosse tutto un One shot One kill? Unico colpo, unico centro? Se la tua mission  fosse un puzzle fatto di tante piccole mission che suonano sulla stessa frequenza?

 

Se ora ti ho sufficientemente chiarito o incasinato i tuoi pensieri su cosa sei venuto/a a fare in questa vita, probabilmente era una delle mie piccole mission.


Se ti ho invece incuriosito/a e vuoi saperne di più, ecco alcuni consigli:

Fai da te:

Ecco un articolo sui talenti e capacità, come riconoscerli, consigli di utilizzo e mappa per scovarli


Facendoti aiutare a qualcuno, rivolgendosi ad altri professionisti:


Kinesiologia E-mozionale, con me, testando in presenza o a distanza la frase relativa alla tua mission


Lettura dei registri Akashici e Channeling,  canalizzando attraverso le tue guide spirituali e angeli custodi, ti lascio qui il contatto della mia collega Valentina Moscatelli;


Numerologia, trova la tua mission attraverso la lettura del tuo nome e dei tuoi numeri di nascita (e non solo!), qui ti suggerisco il contatto di Barbara Fissore, Berenice che tra l’altro è specializzata anche nel calcolo e lettura numerologica a livello aziendale e professionale. Qui trovi anche il tuo gruppo Tgram.

 

Foto pixabay Ennaej

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