Si fa presto a dire: "Devi lasciare andare"
Ogni tanto mi capita di parlare con persone che dopo aver fatto incontri, sessioni, percorsi di crescita personale, al termine di questi si sono sentiti dire “devi lasciare andare” o “devi imparare a lasciare andare”.
Ed è anche una cosa che a ognuno di noi è capitato di dire, nello slancio più semplice e puro di aiutare la persona sofferente che abbiamo davanti, o magari nel più semplice e a tratti bieco, atto di togliercelo da davanti dopo l’ennesima volta che ci ha raccontato sempre la stessa dinamica (sia come operatore che come persona amica).
Spesso ci troviamo ad incastrarci in dinamiche di ogni sorta (relazionali per la maggior parte) nelle quali ci rotoliamo come farebbero i maiali nel fango: con devozione e apparente malcelata soddisfazione.
Ed è chiaro che qualcosa dovrebbe cambiare e che se trovassimo il modo di lasciare andare qualcuno, qualcosa, un’idea, un pensiero, la situazione cambierebbe in maniera favorevole per noi.
Ma l’obiezione che mi viene in mente, ogni volta, è: ma ti pare che se non fossi in grado di farlo, non lo avrei già fatto??
Ma secondo te, basta che me lo dici e io (battendo forte il palmo sulla testa) mi sveglio e mi dico “eureka!! Ecco la soluzione! Grazie!!! Mo me lo segno! (cit)” e da li la mia vita cambia?
Si, si, è vero, a volte può funzionare che il solo fatto che qualcuno ci faccia vedere che esiste anche quella possibilità tra le tante ha l’effetto di carta che entra nel mio mazzo di gioco e di cui magari prima non ero consapevole.
Ma la stragrande maggioranza delle volte sentirti dire “devi lasciare andare” non funziona.
Anzi. Manda ancora più in vacca la situazione.
Uno, perché il “devi” come abbiamo già visto in passato non fa esattamente parte della comunicazione non violenta, e chi lavora nelle relazioni d’aiuto dovrebbe saperlo che si ottiene l’effetto o momentaneo o opposto di totale opposizione da parte della mente non consapevole. Il “devi” ha una vibrazione di ordine gerarchico, un'ordine imposto e di parziale deresponsabilizzazione da parte della persona (se "devo", è perché qualcuno ha scelto che quella è la cosa giusta che devo fare; diverso è se SCELGO di fare qualcosa prendendomi la responsabilità e il totale controllo delle mie azioni).
Due, perché se “devo” e poi non ci riesco, vado ulteriormente in frustrazione aggiungendo al momento già delicato, la sensazione di non essere capace a fare qualcosa che potrebbe fare stare meglio me e le persone che mi circondano. Un fallimento su tutti i fronti.
La verità è che se non riusciamo a lasciare andare, è perchè la situazione è particolarmente delicata e potenzialmente dolorosa.
Vuol dire che per qualche motivo a livello molto più profondo di quello razionale del pensiero che affolla la mia mente con le consuete seghe mentali, io ho una paura fottuta di perdere qualcosa che a livello sottile reputo importante per la mia sopravvivenza, o di quello che potrebbe succedere qualora trovassi veramente il coraggio di lasciare andare.
Mi sto proteggendo da un dolore che per qualche motivo reputo inattraversabile e che potrebbe distruggermi.
E’ una paura talmente profonda e ancorata, che bypassa il mio sistema del pensiero, e viene attivata dalla mia parte biologica più viscerale.
Non è qualcosa che ho facoltà di controllare secondo i canoni di pensiero comuni. Se potessi scegliere, ti assicuro che avresti già scelto di lasciar andare.
Più che “devi lasciare andare” sarebbe utile parlare piuttosto di provare a non opporsi, provare a fidarsi, e attraversare con fiducia quella separazione mostrando a se stessi che un passo alla volta si può fare.
Quindi, la prossima volta che qualcuno vi dirà a fine incontro, o a fine di una chiacchiera tra amici, “devi lasciare andare” voi avrete a partire da ora, 2 possibilità:
1- Battervi la mano sulla fronte esclamando “eureka” finalmente la soluzione! E poi chiedere gentilmente atti concreti per procedere
2- Accondiscendere con gratitudine, poi non appena la persona non vi guarda fargli “gnegnegnegnegne” e cessare immediatamente nel momento in cui vi guarda nuovamente
Ma per non lasciarvi a bocca asciutta ecco i miei 3 consigli per provare a “lasciare andare”
1. Fare in modo che sia sempre possibile tornare indietro, che se la cosa diventa troppo dolorosa, potremo stabilire di ritornare indietro sui propri passi, probabilmente non lo faremo, ma sarà utile sapere di poterlo fare e sapere di poter cambiare idea.
2. Scrivete su carta con penna la risposta alla domanda “qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere qualora io scegliessi di lasciar andare questa cosa, persona ecc? Il semplice fatto di vedere materializzata la paura ridimensiona immediatamente il percepito. E poi ci chiederemo “ho le risorse sufficienti per affrontarla? O sono in grado di reperirle?”
3. Fatevi aiutare. Se non lasciate andare è perché una parte di voi è paralizzata dalla paura, e da soli potreste non farcela. Cercate una relazione d’aiuto valida, che vi permetta di sentirvi al sicuro e sostenuti in quel cambiamento. Perché un conto è avere la sensazione di gettarsi nel vuoto, e un conto e fare una scala scivolosa sapendo che avete un corrimano a cui aggrapparvi.
Se poi vuoi ulteriormente imparare uno strumento pratico, che ti permetta di intervenire anche su livelli più profondi e sottili come quelli energetici (e non solo) o trovare una chiave di interpretazione utile, allora il mio consiglio è quello di venire con noi in aula a Pesaro, a giugno, per imparare il test muscolare kinesiologico di precisione con Rolando Dini.
Perché? Bè uno è perché così ci incontriamo, ci conosciamo, e assaporiamo l’aria delle vacanze. Ma più seriamente perché avrai un metodo in più per capire con maggiore precisione quali sono i sentiti, le frasi o le situazioni che ti creano maggiormente stress, e in questo caso ti permetterebbe di capire su quale livello quella paura ti sta trattenendo dal fare scelte diverse. Ma non solo: con lo stesso test kinesiologico potrai anche trovare quale soluzione sia la più indicata per favorire il percorso .
Leggi maggiori informazioni QUI
Comments