Che cos'è?
E’ un’arte che permette di capire qual è l’origine emozionale di un disturbo fisico.
Secondo la natura di questa disciplina, dietro ad ogni malessere che manifestiamo sul piano fisico, c’è un programma sensato biologico scaturito da un’emozione, che si è attivato in risposta ad un evento di natura straordinaria e che segue delle tempistiche ben precise.
Cosa vuol dire esattamente?
Vuol dire che, quando nella mia vita mi trovo ad affrontare qualcosa che va al di là delle mie naturali capacità di contenimento, il mio corpo si attiva con dei “super poteri” modificandosi in maniera funzionale per avere tutti gli strumenti necessari per uscirne alla meglio.
Vivo quella “roba lì” e immediatamente sento una ben precisa emozione e attivo un ben preciso organo o tessuto per adattarmi a quella situazione.
Per fare un esempio, è come se mangiassi da sola una torta di 2kg e il mio corpo dicesse “non ho abbastanza tessuto intestinale per digerire tutta sta roba, me ne serve altro!” e allora si mette giù di gran lena a modificarsi per averne la quantità migliore per portare a termine il suo compito.
E quando questi super poteri non servono più, perché finalmente ho risolto quella situazione che chiedeva che il mio corpo fosse “diverso”, allora lentamente ripristinerà i tessuti e le funzioni originali.
E questo è già un salto e un cambio di visione drastico, perché non solo ci dice che le modifiche strutturali del corpo hanno un senso, ma hanno anche un tempo che posso (anzi devo) capire e seguire per sapere QUANDO SE e COME intervenire. Ora state pronti perché c’è di più.
Questa disciplina ha potuto verificare che la maggioranza dei sintomi (non è statistica, ma è questione di conoscenza dei tessuti del corpo umano, ma in questa occorre semplificare) avviene quando ho già risolto la situazione straordinaria, ovvero quando ne sono già uscita.
Un po’ come la mitica gazzella che, mentre è inseguita dal leone per essere mangiata (povera gazzella che viene sempre presa come esempio… chissà che karma che deve avere…), e questo è un evento passibile di essere catalogato come “evento di natura straordinaria” (ovvero che non capita tutti i giorni è che è potenzialmente acuto), non avrà nessun sintomo o dolore o malessere.
Anche perché se in quel momento sentisse: e il fiato corto, e male alla sciatica, e dolori al petto, e fatica a respirare ecc… (a parte che il leone potrebbe intenerirsi e pensare “ma io proprio te dovevo trovare, che a malapena stai in piedi?” ma questo, in realtà, non succede mai), il risultato sarebbe che, la sua sopravvivenza verrebbe messa in pericolo.
Il “male” la nostra gazzella, lo sente dopo, quando è riuscita a scappare dal leone e può mandare in riparazione tutti quegli organi e tessuti che, modificandosi per far fronte ad un evento di natura straordinaria, le hanno permesso di salvarsi.
Un po’ come le nostre mitiche “cervicali del weekend”, dove tutta la settimana si adattano agli eventi di stress e quando finalmente sono a casa tranquilla si preparano a ripararsi, e quando riparano fanno dolore, gonfiore, pulsano ecc… con intensità diversa a seconda del vissuto personale della persona.
Potrebbe cominciare a farsi strada l’idea, fino ad ora mai pensata, che i sintomi arrivino dopo che ho già risolto una “situazione”.
Accidenti.
Mi stai dicendo che sintomi non sono il male o la maledizione venute a colpirmi o a portare un messaggio. O meglio si, un messaggio ce l’hanno, ma va visto diversamente. E mi stai dicendo che concetti come “statistica”, “predisposizione genetica”, “età”, “usura”, sono potenzialmente rivedibili o quanto meno potenzialmente da reinterpretare.
Qual è stata l’arma a doppio taglio che scatenò le ire e le problematiche comunicative quando questa disciplina fece capolino all’incirca negli anni ’80 ?
Che, sull’onda dell’entusiasmo si insinuò l’ipotesi che non si dovesse intervenire sulla malattia, perché il corpo stava già facendo tutto da solo. E se da un lato in alcuni casi è vero, nella stragrande maggioranza dei casi, questo non può verificarsi, perchè noi non siamo animali nella foresta, e non viviamo bio-logicamente da moltissimo tempo.
Non siamo gazzelle che quando vogliono riposare, lo fanno. Siamo esseri umani di natura meravigliosamente imperfetta che si ostinano (a ragion veduta) a rimanere e rivivere costantemente le stesse situazioni disfunzionali. Siamo esseri che tutte le notti si alzano e battono il mignolino nello stesso spigolo e non fanno nulla per cambiare ed evitarlo.
E non lo facciamo, badate bene, per una volontà nostra. Lo facciamo perché è un po’ come se ci fossero già dei paletti che la famiglia e la società ci impongono e propongono e noi cerchiamo di fare il meglio che possiamo con lo spazio che ci è stato concesso, senza fare male a nessuno. Un po’ come giocare a Twister.
Così continuiamo ad andare da 10 anni nello stesso posto di lavoro, pur vivendo ogni giorno una svalutazione intellettiva, o sentendoci sempre sotto attacco o sotto giudizio, però non lo lasciamo perché ci raccontiamo che in fondo “va bene così”, che “non posso trovare qualcosa di diverso”, o “perché la pagnotta la dobbiamo portare a casa tutti”.
E sottolineo che va bene anche così, ma faccio anche notare (per aiutarvi a comprendere il paragone) che la gazzella, questa cosa, non la fa.
Quindi la gazzella può permettersi di “non intervenire” sul suo sintomo perché a modo suo può seguire la curva, ma l’essere umano deve necessariamente prendersi cura di sé e dei suoi sintomi e malattie.
Quando e a chi è consigliato di farla?
- Quando con le cure tradizionali non riesco a trovare un sollievo permanente o un’uscita definitiva: associare una decodifica del sintomo mi permette di capire cosa sto facendo e ripetendo che va al di fuori della mia bio-logia.
- Quando sento il bisogno di conoscere meglio la risposta del mio corpo, per uscire dalla paura o dalla sensazione di vivere seduta in una roulette russa. (Statistiche, predisposizioni, terrorismo alimentare ecc…)
Quando e a chi no?
Quando sto vivendo una fase acuta del dolore e del sintomo e ho paura. Come dice Claudio Trupiano “non puoi insegnare a nuotare a una persona che sta annegando in mezzo al mare”, in quel caso al massimo gli tiri un salvagente.
Per cosa?
Per qualunque sintomo di natura fisica di cui si vuole conoscere l’origine emozionale seguendo un percorso ben preciso. In che modo quella modifica del mio corpo è una risposta sensata? E rispetto a quale evento in particolare?
Che cosa non devo aspettarmi da una seduta di decodifica del sintomo?
Non aspettarti una terapia, o dei consigli mirati su cosa fare rispetto al percorso classico. Per quello ci sono i professionisti sanitari di natura medica. La decodifica del sintomo è un percorso di auto definizione, in cui non si va per sentirsi dire cosa fare, o per farsi dare soluzioni da altri che “ci guariscano” o “ci facciano stare meglio”. L’operatore di questa disciplina è un facilitatore che ti aiuta a comprendere cosa stai facendo nella tua vita che potrebbe essere fatto diversamente per il tuo meglio. A volte basta capirlo e smettere, a volte l’operatore ti consiglierà altri percorsi per continuare. Altre volte ti aiuterà a posizionarti rispetto al sintomo, per comprendere la scelta migliore da fare con il tuo medico.
Altre ancora ti aiuterà, attraverso la comprensione, ad avere semplicemente meno paura. E come hai già letto, essendo la paura stessa un’emozione, eviterai di attivare altri programmi che potrebbero sensibilizzare ulteriormente la percezione di quel sintomo.
Ma sarai sempre tu, a decidere.
Come e dove si prenota una sessione?
Io posso accoglierti di persona negli studi di Cavallermaggiore e Roma, oppure online attraverso la piattaforma di zoom.
Le sedute vanno dall’ora all’ora e mezza e il costo varia a seconda della sede e della modalità scelta. Scrivimi qui yana@alpimail.com per conoscerlo.
Quante sessioni occorrono?
Questa è sempre una bella domanda. A volte ne occorre una per capire come muoversi successivamente in autonomia, altre volte si decide di continuare insieme per qualche seduta. La differenza la fa sempre quanta voglia ha la persona di accogliere le nuove osservazioni della sua vita, e quanta disponibilità di energie ha a disposizione per intraprendere un percorso di reale cambiamento.
Non è da trascurare, perché il cambiamento non è sempre facile da seguire. A volte occorrono tempi lunghi (infatti di solito da un appuntamento all’altro passano 3 o 4 settimane), a volte dopo che abbiamo la chiave non siamo disposti a cambiare, o almeno non in quel momento lì.
La maggioranza delle volte, ci da così tanto fastidio la chiave di lettura che diciamo di “no, non può essere quella cosa lì” e semplicemente chiudiamo la porta, cercando soddisfazione in altre discipline.
Non esiste una chiave o un metodo chiaro per tutti. Ma c’è il metodo giusto per te. L’invito è quello di venire a vedere se io sono lo strumento adatto a te in questo momento.
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